Carissimi ragazzi...
Carissimi ragazzi,
abbiamo letto la lettera che avete inviato a Liberazione e alcune delle lettere apparse sul blog. Sentiamo di dovervi dire qualcosa, non possiamo sopportare che le domande che voi ponete non abbiano risposta, che nessuno faccia un tentativo di spiegare, di asciugare le vostre, le nostre, lacrime.
Siamo Luciano e Fabio, noi, credo, non ci conosciamo, ma siamo tecnici della Raffaello Sanzio, due di quelli presenti a Digione sul palcoscenico dove Alfredo è morto. Non vi portiamo il pensiero della Compagnia, non la rappresentiamo in alcun modo, siamo soltanto persone che ci lavorano e che sono state testimoni di un evento terribile, insopportabile, e che sono ancora vive.
Sì, perché Alfredo, un ragazzo di 27 anni, il più giovane e il più “inesperto” tra noi è morto, noi potremo continuare a vivere, lavorare, scherzare. Lui no. Questo pensiero pesantissimo, e la tragica consapevolezza che anche noi non abbiamo fatto tutto quello che avremmo potuto e dovuto fare per garantire la sicurezza e la vita di chi lavora con noi ci accompagnerà e ci peserà come un macigno per tutto il resto dei nostri giorni. Non dimenticheremo. Non è possibile.
Avete ragione, la lettera letta il giorno del funerale da parte della Raffaello Sanzio era sbagliata e inopportuna. In quei momenti serviva solo silenzio e la capacità di farsi da parte, rispettare l’altrui e anche il proprio dolore, piangere e tacere. E basta. Per spiegare, raccontare le dinamiche c’era tempo.
Così facendo non si è fatto altro che alimentare sospetti e rabbia. Sembrava che la compagnia si volesse tutelare, o volesse nascondere qualcosa, complici anche le voci che in Italia sono girate fin da subito, e della più svariata natura. Non sappiamo perché è stata fatta quella scelta e, se dobbiamo essere sinceri, ci interessa anche poco.
Sappiamo però come sono andate le cose. Sappiamo che è stata una morte avvenuta sul luogo di lavoro, in circostanze assurde e sul momento apparentemente inspiegabili ( ed è per questo, crediamo, che molte versioni si sono accavallate nei primi tempi). Sappiamo che è avvenuta utilizzando una macchina, che era quella che Alfredo montava e comandava a ogni replica, per provare un’emozione, per “ vedere cosa succede”. Capiamo che è difficile accettare questa realtà, ma purtroppo è così che le cose si sono svolte: nessuno gli aveva chiesto di lanciarsi, è stata una sua scelta personale, autonoma, nessuna imposizione, nessun mansionario da rispettare. Vi diciamo questo per amore di verità e in assoluta coscienza.
Tutto questo non toglie assolutamente nulla alla gravità spaventosa di quello che è successo. Quella macchina maledetta avrebbe potuto uccidere chiunque altro l’avesse utilizzata. Quella macchina non doveva essere lì, non doveva essere sul palco, né lì, né altrove. Quel congegno, fatto per essere usato dagli attori, doveva essere verificato , omologato e messo in sicurezza da professionisti in grado di farlo. Ma ciò non è stato fatto.
Il problema centrale a questo punto diventa la leggerezza con cui si è giocato, in tutti questi anni di spettacoli bellissimi e trionfali, con il rischio, con il limite sottile tra finzione e sofferenza reale, tra pericolo e illusione del controllo, in ultima analisi, forse, tra la vita e la morte.
In nome dell’arte si può arrivare a mettere in gioco una vita che non sia la propria? No, no, no e poi no. E invece tante volte abbiamo più o meno consapevolmente accettato il rischio, con colpevole leggerezza, e anche noi, tecnici esperti e “navigati” ci siamo lasciati trascinare in una dinamica infantile che includeva al suo interno il gioco della sfida e del pericolo. Questo non sarà più. Ma il prezzo pagato è inaccettabile.
La nostra stupidità e incapacità, il nostro fallimento, si lasciano dietro una scia di dolore, per voi e per la famiglia di Alfredo, che per noi è e rimarrà sempre insopportabile.
Così come ci è insopportabile continuare il lavoro su Inferno, continuare a portare in tourneè questo spettacolo, dove ogni minuto di lavoro ci ricorda quelli passati con Alfredo, la sua curiosità, la voglia di imparare, di scherzare, di condividere un’esperienza collettiva.
Qualsiasi cosa voi vogliate sapere su quel pomeriggio, o sul lavoro che Alfredo svolgeva, noi siamo qui, cerchiamoci, vediamoci e parliamo. Perché i temi che voi sollevate: la sicurezza del lavoro nei teatri, i limiti che la ricerca artistica si deve imporre e come noi, e non solo le leggi, possiamo tutelare la sicurezza e la vita di tutti quelli che in questi campi lavorano, sono gli impegni che la morte di un compagno e di un amico ci obbliga a mantenere con implacabile perseveranza.
Un abbraccio
Luciano Trebbi e Fabio Sajiz
abbiamo letto la lettera che avete inviato a Liberazione e alcune delle lettere apparse sul blog. Sentiamo di dovervi dire qualcosa, non possiamo sopportare che le domande che voi ponete non abbiano risposta, che nessuno faccia un tentativo di spiegare, di asciugare le vostre, le nostre, lacrime.
Siamo Luciano e Fabio, noi, credo, non ci conosciamo, ma siamo tecnici della Raffaello Sanzio, due di quelli presenti a Digione sul palcoscenico dove Alfredo è morto. Non vi portiamo il pensiero della Compagnia, non la rappresentiamo in alcun modo, siamo soltanto persone che ci lavorano e che sono state testimoni di un evento terribile, insopportabile, e che sono ancora vive.
Sì, perché Alfredo, un ragazzo di 27 anni, il più giovane e il più “inesperto” tra noi è morto, noi potremo continuare a vivere, lavorare, scherzare. Lui no. Questo pensiero pesantissimo, e la tragica consapevolezza che anche noi non abbiamo fatto tutto quello che avremmo potuto e dovuto fare per garantire la sicurezza e la vita di chi lavora con noi ci accompagnerà e ci peserà come un macigno per tutto il resto dei nostri giorni. Non dimenticheremo. Non è possibile.
Avete ragione, la lettera letta il giorno del funerale da parte della Raffaello Sanzio era sbagliata e inopportuna. In quei momenti serviva solo silenzio e la capacità di farsi da parte, rispettare l’altrui e anche il proprio dolore, piangere e tacere. E basta. Per spiegare, raccontare le dinamiche c’era tempo.
Così facendo non si è fatto altro che alimentare sospetti e rabbia. Sembrava che la compagnia si volesse tutelare, o volesse nascondere qualcosa, complici anche le voci che in Italia sono girate fin da subito, e della più svariata natura. Non sappiamo perché è stata fatta quella scelta e, se dobbiamo essere sinceri, ci interessa anche poco.
Sappiamo però come sono andate le cose. Sappiamo che è stata una morte avvenuta sul luogo di lavoro, in circostanze assurde e sul momento apparentemente inspiegabili ( ed è per questo, crediamo, che molte versioni si sono accavallate nei primi tempi). Sappiamo che è avvenuta utilizzando una macchina, che era quella che Alfredo montava e comandava a ogni replica, per provare un’emozione, per “ vedere cosa succede”. Capiamo che è difficile accettare questa realtà, ma purtroppo è così che le cose si sono svolte: nessuno gli aveva chiesto di lanciarsi, è stata una sua scelta personale, autonoma, nessuna imposizione, nessun mansionario da rispettare. Vi diciamo questo per amore di verità e in assoluta coscienza.
Tutto questo non toglie assolutamente nulla alla gravità spaventosa di quello che è successo. Quella macchina maledetta avrebbe potuto uccidere chiunque altro l’avesse utilizzata. Quella macchina non doveva essere lì, non doveva essere sul palco, né lì, né altrove. Quel congegno, fatto per essere usato dagli attori, doveva essere verificato , omologato e messo in sicurezza da professionisti in grado di farlo. Ma ciò non è stato fatto.
Il problema centrale a questo punto diventa la leggerezza con cui si è giocato, in tutti questi anni di spettacoli bellissimi e trionfali, con il rischio, con il limite sottile tra finzione e sofferenza reale, tra pericolo e illusione del controllo, in ultima analisi, forse, tra la vita e la morte.
In nome dell’arte si può arrivare a mettere in gioco una vita che non sia la propria? No, no, no e poi no. E invece tante volte abbiamo più o meno consapevolmente accettato il rischio, con colpevole leggerezza, e anche noi, tecnici esperti e “navigati” ci siamo lasciati trascinare in una dinamica infantile che includeva al suo interno il gioco della sfida e del pericolo. Questo non sarà più. Ma il prezzo pagato è inaccettabile.
La nostra stupidità e incapacità, il nostro fallimento, si lasciano dietro una scia di dolore, per voi e per la famiglia di Alfredo, che per noi è e rimarrà sempre insopportabile.
Così come ci è insopportabile continuare il lavoro su Inferno, continuare a portare in tourneè questo spettacolo, dove ogni minuto di lavoro ci ricorda quelli passati con Alfredo, la sua curiosità, la voglia di imparare, di scherzare, di condividere un’esperienza collettiva.
Qualsiasi cosa voi vogliate sapere su quel pomeriggio, o sul lavoro che Alfredo svolgeva, noi siamo qui, cerchiamoci, vediamoci e parliamo. Perché i temi che voi sollevate: la sicurezza del lavoro nei teatri, i limiti che la ricerca artistica si deve imporre e come noi, e non solo le leggi, possiamo tutelare la sicurezza e la vita di tutti quelli che in questi campi lavorano, sono gli impegni che la morte di un compagno e di un amico ci obbliga a mantenere con implacabile perseveranza.
Un abbraccio
Luciano Trebbi e Fabio Sajiz